A quasi otto anni dalla tragedia di Rigopiano, dove morirono nell’hotel travolto dalla valanga 29 persone, arriva dai giudici della sesta sezione della Cassazione un punto alla vicenda.
Nuovo processo di appello per dieci imputati e condanna definitiva ad 1 anno e 8 mesi per l’ex prefetto di Pescara e per il gestore del resort.
Francesco Provolo, è stato definitivamente condannato per i reati di omissione di atti d’ufficio e falso ideologico in atto pubblico.
La Suprema Corte ha, quindi, parzialmente accolto le richieste della Procura Generale.
Il nuovo processo di appello, che si svolgerà davanti ai giudici di Perugia per competenza, riguarderà infatti anche i sei dirigenti del Servizio di Protezione civile della Regione Abruzzo,
che erano stati assolti nei primi due gradi di giudizio, come sollecitato dal sostituto procuratore generale.
Gli ermellini chiedono ai giudici umbri di valutare per loro le pesanti accuse di disastro colposo e lesioni plurime colpose.
E un nuovo processo di secondo grado ci sarà anche per l’ex sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta.
Con lui dovranno affrontare il vaglio dell’appello bis anche il tecnico del Comune all’epoca dei fatti, Enrico Colangeli, nonché ai due funzionari della Provincia di Pescara, Mauro Di Blasio e Paolo D’Incecco.
Per i quattro, già condannati nel primo processo di appello, la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata e ha disposto un nuovo giudizio per rivalutare le loro posizioni per le accuse di omicidio e lesioni colpose plurime.
Posizioni, queste ultime, su cui incombe però il rischio prescrizione.
Al termine di una camera di consiglio durata diverse ore, i giudici hanno, inoltre confermato le assoluzioni disposte in primo e secondo grado per il delitto di depistaggio contestate all’allora Prefetto e ai suoi funzionari.
Passaggio sottolineato dal legale di Provolo, Giandomenico Caiazza.
La sentenza, dice infatti, cancella “l’infamia a suo carico, ritenuto da molti come il principale colpevole di questa tragedia. Cadono – sottolinea – le infamanti accuse di depistaggio e omicidio colposo plurimo e resta la condanna per omissione in atti di ufficio e falso che non condividiamo ma che accettiamo serenamente”.
Diventano, invece, definitive le condanne del Capo di Gabinetto della Prefettura, Leonardo Bianco, per falso ideologico, del gestore dell’albergo travolto dalla valanga, Bruno Di Tommaso (6 mesi), e del geometra Giuseppe Gatto che aveva redatto la relazione allegata al permesso per la ristrutturazione della struttura per i reati di falsità ideologica loro attribuiti.
Sui risarcimenti in favore delle parti civili si deciderà all’esito del giudizio di rinvio.
Le motivazioni della sentenza, che spiegherà nel dettaglio quanto stabilito oggi, arriveranno nei prossimi mesi.
Nel corso della requisitoria il pg affermò che in quel tragico giorno “il pericolo valanghe era forte, un livello 4, e venne comunicato alla prefettura.
Non c’era un vero allarme rosso ma sussisteva un pericolo forte che rendeva necessario istituire il Centro di coordinamento dei soccorsi e la sala operativa, che avrebbe reso possibile approntare misure, come la chiusura di strade e l’invio dell’esercito come poi è stato fatto”.
Parole che richiamano quanto cristallizzato nelle motivazioni della sentenza di appello, emessa dai giudici dell’Aquila, per i quali quella situazione meteorologica così estrema “concretizzava il rischio di un pericolo e poco conta il fatto che, storicamente, fino ad allora, in quell’area, non si erano verificati episodi di particolare gravità”.
Per i giudici questa situazione “non rappresentava un’esimente dalla necessità di intervenire”.
Erano tre le iniziative da prendere per evitare il peggio: chiudere la strada, sgomberarla dalla neve ed evacuare l’hotel. E nessuna di queste fu presa.
Le responsabilità della tragedia
Nell’ambito del processo, sono diffuse su vari fronti le responsabilità della tragedia.
Dai permessi di costruzione dell’albergo, un resort di lusso sul versante pescarese del Gran Sasso, alla gestione dell’emergenza di quei giorni drammatici sul fronte delle condizioni atmosferiche, tra la neve caduta copiosamente e le scosse di terremoto.
Ma nel mirino degli inquirenti finirono anche la gestione dei soccorsi e una presunta vicenda di depistaggio, in merito alla telefonata di Gabriele D’Angelo, dipendente dell’albergo e una delle vittime, che aveva telefonato allertando la Prefettura sulla situazione di pericolo, una telefonata registrata e in seguito fatta sparire.